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Albert Einstein

I Grandi dalla scrittura

Presentare una sezione grafologica caratterizzata da un titolo così generico richiede qualche precisazione. Innanzitutto chi sono i grandi: grandi scienziati, grandi artisti, grandi condottieri, caratterizzati veramente da grande ingegno o soltanto da una grande ambizione e grandi capacità di intrigo? Già questo primo interrogativo richiederebbe una lunga serie di considerazioni che esulano dallo scopo della sezione. In secondo luogo, ci si chiede se sia lecito partire dal presupposto, apparentemente ovvio, che una persona sia diventata famosa a causa delle eccezionali capacità che possedeva, che spingevano in senso finalistico in una data direzione. Grafologicamente questo non risulta sempre vero. Inoltre questa forma di riduzionismo psicologico a volte risulta troppo pedante e anche irritante nello sforzo di voler spiegare in dettaglio come e perché sia successo tutto, senza riuscire di fatto a spiegare neanche in minima parte l’altezza e la complessità delle situazioni a cui certi personaggi giungono. Lo psicologo americano J. Hillman ha riproposto recentemente il concetto di ‘codice dell’anima’, vale a dire l’idea “che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta.” (Il codice dell’anima, Adelphi Ed., p.21) Ciò che siamo, in questa prospettiva, non è il frutto delle circostanze, dell’ambiente, del carattere che abbiamo ereditato, ma questi sono solo strumenti che sollecitano la percezione dell’unicità del nostro destino e contribuiscono a realizzarlo. In termini grafologici, la scrittura non spiega il nostro destino e spiega solo in parte la nostra storia, in quanto la personalità costituisce uno dei mezzi attraverso i quali il destino individuale si compie. In questo senso l’anima ci sceglie per vivere la sua vita, per fare quella determinata esperienza della realtà, attraverso un certo corpo e una certa personalità che sono in grado di reggere quella esperienza. Per questo un avventuriero che scopre un continente sconosciuto non può avere la stessa struttura di personalità che consente a un altro di passare anni ad affrescare una cappella: al di là di quello che può essere il potenziale intellettivo di entrambi, uno ha bisogno di audacia, irrequietezza e intraprendenza per muoversi in spazi quasi infiniti e l’altro di dominio totale delle sue energie per portare a termine un compito in condizioni quasi di immobilità fisica. Ma queste tendenze sono strumenti, non fini, in quanto la personalità non può spiegare se stessa, ma fa appello ad altro che resta al di fuori di sé: il senso della propria vocazione, ovvero che c’è una ragione per cui si è vivi e, guarda caso, si ha proprio quella struttura di personalità che ci consente di vivere quelle, e solo quelle, determinate esperienze. Nel raccontare le personalità dei grandi ci limiteremo, pertanto, a prendere atto della struttura della psiche attraverso l’evidenziazione dei principali segni grafologici, e soprattutto di quelli che hanno ‘segnato’ in modo vistoso, per la loro presenza, o la loro assenza, o il loro squilibrio, l’individuo in esame. Ma mentre esaminiamo quello che l’individuo mostra di se stesso attraverso la sua struttura di personalità, non si può dimenticare ciò che non c’è e non ci potrà mai essere nella scrittura: l’anima che ha dato necessità e direzione a quella esistenza.

Albert Einstein

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La luce dell’intelletto

Del tutto controcorrente, in modo anche scomodo, Moretti non ratificò mai la qualifica di ‘genio’ a Einstein, perché nonostante le numerose qualità intellettive, mancava nella sua scrittura la forza del ‘Disuguale metodicamente’ che è il segno della vena interiore originale e creativa continua, necessaria per qualificare come tale un ‘genio’. Einstein, come molti hanno fatto notare, fu creativo in una parte della sua vita, quella che coincise con il suo primo matrimonio, e solo in quella. Poi non produsse più nulla di significativo, anzi non comprese nemmeno la portata degli studi della fisica quantistica, che anzi criticò. Vediamo grafologicamente le sue risorse intellettive.

Valutare il potenziale intellettivo individuale con il sistema grafologico di Moretti significa innanzitutto valutare il valore delle tre larghezze e il loro equilibrio, e da questo punto di vista la grafia di Einstein si presenta ben sostenuta: si tratta di un’intelligenza profonda (Larga di lettere), quindi in grado di comprendere i molteplici aspetti dei problemi di natura complessa; generosa (Larga tra lettere), quindi aperta verso i ritrovati dell’intelligenza altrui; caratterizzata da distinzione grafica (Larga tra parole in grado medio) che consente una valutazione lucida delle idee altrui. Non la critica delle idee altrui, in quanto non solo non ne ha la tendenza, ma neanche la potenza.

La forza dell’intelligenza è sostenuta dalla disposizione spontanea alla chiarezza e alla calma, che consentono una piena esplicazione delle facoltà intellettive, senza essere travolto dalla fretta o disturbato da contaminazioni emotive, perciò capace di portare a compimento un’azione rispettando la natura della cosa esaminata.

Dispone di fermezza di carattere, per il ‘Mantiene il rigo’, che è dato non solo dalla perfetta tenuta dello stesso, ma anche dall’inclinazione omogenea e costante delle lettere. La spiccata fermezza di carattere è sostenuta anche dalla disposizione alla tenacia (Angoli B) che è indispensabile per mantenere l’attaccamento su quanto fatto oggetto di interesse, in modo lucido in quanto gli angoli sono diffusi ma non accentuati.

La scrittura è caratterizzata dal segno Fluida in alto grado, vale a dire sono presenti le doti di spigliatezza e di spontaneità del pensiero e della frase, che costituiscono nel loro complesso la fecondità di pensiero. Fluida è il segno dell’adattamento del sentimento a ciò che è fatto oggetto di interesse: è una dote di rispondenza, che attiva in modo spontaneo l’attenzione e la memoria; porta con sé la spinta all’unificazione, alla conciliazione, alla omogeneizzazione dei mezzi eterogenei, alla semplificazione. Per questo Moretti fece del segno Fluida uno dei segni principali che indicano la sensibilità del sentimento, intesa come capacità di rapportarsi con il mondo esterno. La naturalezza, la spontaneità, sono qualità nemiche dello sforzo: intuitivamente colgono il modo di superare gli ostacoli sul piano pratico e di sciogliere le tensioni inutili.

Quindi, dal punto di vista intellettivo, per la dominanza dei tipici segni dell’assimilazione intuitiva (Fluida, Chiara, Attaccata, Accurata spontanea), Einstein risulta un elaboratore di principi altrui che lui ha saputo intuire, a cui ha saputo dare una espressione formale unificata, ma partendo da elementi già dati. Quindi grafologicamente non un genio, ma un grande rielaboratore. Questa prospettiva di Moretti sembra appoggiare quanti sostengono, come E.H. Walzer, che “le fondamentali idee capricciose che costituirono la svolta decisiva della relatività” vennero da Mileva Maric, mentre di Einstein sarebbe “il formalismo generale della teoria”. (6)

La tendenza alla matematica viene confermata dall’omogeneità di tutte le larghezze e dalla chiarezza grafica complessiva, anche se non è molto spiccato il segno Parca. Questo segno, indice di laconicità, se non è presente al massimo grado, come nel caso di Einstein, porta con sé la fatica che produce stanchezza nell’applicazione della matematica pura.

L’omogeneità grafica, che è indice di costanza, conferisce la stabilità delle tendenze e degli interessi, il controllo della vita istintiva e affettiva, attraverso la regolarità nell’estrinsecazione: se decido di dormire otto ore, dormo otto ore; se decido di applicarmi allo studio per otto ore, ci riesco, perché non ci sono, nel mio interno, stimoli perturbatori che possano distogliermi dallo scopo che mi sono prefisso. Si capisce come in una scienza speculativa astratta come la matematica, questo debba essere il primo requisito.

La chiarezza e l’accuratezza spontanea non fanno che rafforzare il punto sopra. Sono doti accessorie, non di sostanza, ma indispensabili quando c’è la sostanza per stabilizzare ulteriormente la personalità sui valori indicati dal nome dei due segni.

Einstein non era interessato all’applicazione sperimentale, in quanto era affascinato dal lato speculativo. Grafologicamente, tuttavia, l’omogeneità e la fluidità conferiscono la fecondità, il sincretismo, la facilità nell’azione in diversi ambiti e non l’originalità inventiva o concettuale. Ma l’omogeneità e la chiarezza, che costituiscono i punti di forza del matematico, contemporaneamente possono essere l’origine dei punti deboli della sua vita emotiva.

I Grandi dalla scrittura

Presentare una sezione grafologica caratterizzata da un titolo così generico richiede qualche precisazione. Innanzitutto chi sono i grandi: grandi scienziati, grandi artisti, grandi condottieri, caratterizzati veramente da grande ingegno o soltanto da una grande ambizione e grandi capacità di intrigo? Già questo primo interrogativo richiederebbe una lunga serie di considerazioni che esulano dallo scopo della sezione. In secondo luogo, ci si chiede se sia lecito partire dal presupposto, apparentemente ovvio, che una persona sia diventata famosa a causa delle eccezionali capacità che possedeva, che spingevano in senso finalistico in una data direzione. Grafologicamente questo non risulta sempre vero. Inoltre questa forma di riduzionismo psicologico a volte risulta troppo pedante e anche irritante nello sforzo di voler spiegare in dettaglio come e perché sia successo tutto, senza riuscire di fatto a spiegare neanche in minima parte l’altezza e la complessità delle situazioni a cui certi personaggi giungono. Lo psicologo americano J. Hillman ha riproposto recentemente il concetto di ‘codice dell’anima’, vale a dire l’idea “che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta.” (Il codice dell’anima, Adelphi Ed., p.21) Ciò che siamo, in questa prospettiva, non è il frutto delle circostanze, dell’ambiente, del carattere che abbiamo ereditato, ma questi sono solo strumenti che sollecitano la percezione dell’unicità del nostro destino e contribuiscono a realizzarlo. In termini grafologici, la scrittura non spiega il nostro destino e spiega solo in parte la nostra storia, in quanto la personalità costituisce uno dei mezzi attraverso i quali il destino individuale si compie. In questo senso l’anima ci sceglie per vivere la sua vita, per fare quella determinata esperienza della realtà, attraverso un certo corpo e una certa personalità che sono in grado di reggere quella esperienza. Per questo un avventuriero che scopre un continente sconosciuto non può avere la stessa struttura di personalità che consente a un altro di passare anni ad affrescare una cappella: al di là di quello che può essere il potenziale intellettivo di entrambi, uno ha bisogno di audacia, irrequietezza e intraprendenza per muoversi in spazi quasi infiniti e l’altro di dominio totale delle sue energie per portare a termine un compito in condizioni quasi di immobilità fisica. Ma queste tendenze sono strumenti, non fini, in quanto la personalità non può spiegare se stessa, ma fa appello ad altro che resta al di fuori di sé: il senso della propria vocazione, ovvero che c’è una ragione per cui si è vivi e, guarda caso, si ha proprio quella struttura di personalità che ci consente di vivere quelle, e solo quelle, determinate esperienze. Nel raccontare le personalità dei grandi ci limiteremo, pertanto, a prendere atto della struttura della psiche attraverso l’evidenziazione dei principali segni grafologici, e soprattutto di quelli che hanno ‘segnato’ in modo vistoso, per la loro presenza, o la loro assenza, o il loro squilibrio, l’individuo in esame. Ma mentre esaminiamo quello che l’individuo mostra di se stesso attraverso la sua struttura di personalità, non si può dimenticare ciò che non c’è e non ci potrà mai essere nella scrittura: l’anima che ha dato necessità e direzione a quella esistenza.